Questo blog è nato dall'esigenza di un nuovo modo di fare didattica. Una didattica che si avvalga dei nuovi strumenti che la tecnologia ci offre. E il web è quello straordinario contenitore che ci permette di reperire testi, video, musica, e quant' altro possa essere di incremento al nostro patrimonio culturale. Attraverso questo blog la nostra classe si apre al mondo; la lezione non rimane confinata nel chiuso di un'aula, ma trova, attraverso internet, una "vetrina" attraverso cui poter mostrare tutto quello che da essa nasce e si sviluppa.
La musica di sottofondo è la sonata "facile" di Mozart. La scelta non è casuale, la musica di Mozart esprime infatti quella vitalità e quella leggerezza che spero accompagnino sempre i miei alunni.

venerdì 6 giugno 2008

L'incontro con Vittorio Agnoletto


E' stato davvero interessante l'incontro con Vittorio Agnoletto. E' infatti venuto giorni fa a tenerci una "lezione" sulla globalizzazione. E' stata una lezione diversa dalle solite. Ci ha infatti raccontato dei diversi volti della globalizzazione nel mondo e di come il mondo stia diventando sempre più piccolo. E' stato un incontro molto interessante, Vittorio Agnoletto ha risposto a tante nostre curiosità e ci ha chiarito tante cose che accadono nel mondo e che troviamo difficile capire.

lunedì 17 marzo 2008


L'EPICA CAVALLERESCA






L'epica cavalleresca è un genere letterario in cui vengono narrate le imprese eroiche di cavalieri.
Questo genere nasce in Francia tra il X e l' XI sec. d.C. e si sviluppa in due filoni: il ciclo carolingio e il ciclo bretone. Nel ciclo carolingio si racconta soprattutto delle vicende legate alla figura di Carlo Magno e dei suoi paladini, primo fra tutti Orlando. Nel ciclo bretone è invece centrale la figura di Artù e delle vicende legate ad esso. Ma le differenze tra due cicli non sono soltanto a livello di personaggi, ma riguardano anche i temi trattati. Infatti se nel ciclo carolingio sono più presenti i valori cavallereschi, come ad esempio l'onore militare, il coraggio e la lealtà verso il proprio re; in quello bretone invece troviamo maggiormente i temi dell'amore ( ad es. la storia di Lancillotto e Ginevra) e la magia ( mago Merlino) che rendono le vicende più simili ad una fiaba.

Orlando è il protagonista della Chanson de Roland che racconta dell'agguato subito dalla retroguardia dell'esercito di Carlo magno a Roncisvalle, nei Pirenei, ad opera dei Saraceni. In quell'agguato morirono Orlando e tutti i paladini. E' interessante notare che Orlando non è un personaggio totalmente inventato, ma è realmente esistito. Ci fu effettivamente un agguato subito dalle truppe di Carlo Magno in cui persero la vita degli eroi e tra questi Olando, che era in quel tempo prefetto della Marca di Bretagna.


Accanto a Orlando un altro grande eroe della cavalleria è Artù. Anch'esso, come Orlando, è un personaggio in parte reale, vissuto sembra nel 500 d.C., in parte frutto di invenzione. La leggenda narra che Artù, cresciuto da Mago Merlino, raggiunse la posizione di re quando riuscì ad estrarre la mitica spada Excalibur dalla roccia, che poteva essere estratta soltanto dal futuro sovrano. Successivamente Artù si sposò con Ginevra e istituì la celebre Tavola Rotonda. Uno dei cavalieri appartenenti a questa tavola, Lancillotto, si innamorò poi della regina Ginevra e questo amore clandestino portò scompiglio a Camelot.

domenica 16 marzo 2008

Poesia e immagine: "Ritratto della mia bambina" di U. Saba

(disegno di Alessandro della classe III C. La scelta è ricaduta su questo disegno perchè l'idea di mettere la bambina su di una nuvola, ben interpreta il senso di leggerezza che il poeta vuole esprimere attraverso i suoi versi.)

La mia bambina con la palla in mano,
con gli occhi grandi colore del cielo
e dell’estiva vesticciola: "Babbo
-mi disse – voglio uscire oggi con te"
Ed io pensavo : Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti.
U. Saba



Considerazioni su "Ritratto della mia bambina"
(Lavoro svolto dalla III C della Scuola Elementare di via Graf a cura della ins. Stefania Giacalone)
Dopo aver letto alcune volte la poesia, chiariti i termini che parevano di difficile comprensione, ho posto le seguenti domande:



Come immaginiamo la vesticciola della bambina?
Fatta di velo (Alessandro)
Sbracciata, smanicata (Marika, Marco)
Una vesticciola con le bretelle (Aurora)
Di colori caldi…-poi si accorge-..no,è azzurra (Alessandro)
Cosa hanno in comune la bambina e gli elementi naturali a cui viene paragonata?
Tutti non si possono toccare, sono impalpabili (Andrea R.)
Sono cose alte, che vanno in alto, leggere (Andrea C.)
Si muovono, vengono portati

In che senso la sua bambina è leggera? E' magra?

No, è sensibile, carina, delicata (Ettore)
E' leggera come una bambina, allegra (Alessia, Gaia, Aurora, Ida)
Porta colori chiari, che danno un senso di leggerezza (Francesca)
Il poeta usa tanto il cielo, perché sono tutte cose che vanno in cielo (Marco)

Guardiamo insieme dove il poeta inserisce la parola cielo…(notano la posizione in punta sia del v.2,che del v.12)

Vi è piaciuta questa poesia?

Mi è piaciuta, perché ha delle similitudini delicate (Gaia)
E' armoniosa, leggera (Alessandro)
Mi piace, perché paragona la figlia alla natura. E'una poesia tranquilla(Marco)
E' come una musica, scorre, senza interruzioni (Andrea)
(qui ho parlato della musicalità dell'endecasillabo. Abbiamo provato a contare le sillabe e a vedere quali si accentano)
Mi piace il modo in cui descrive sua figlia (Marika)
Ha trovato sinonimi dolci, come "insensibili nubi" (Alessia)
Mi è piaciuta (Ossama)
E' una poesia leggera, non come quella del mare, che abbiamo letto l'altra volta (Francesca, Antimo)

martedì 26 febbraio 2008

La nostra visita a Palazzo Marino


E' stato davvero un giorno indimenticabile. Abbiamo visitato Palazzo Marino, sede dell'amministrazione comunale di Milano. Il momento più emozionante è stato l'incontro con il Presidente del Consiglio Comunale Manfredi Palmeri. Ci ha tenuto una vera e propria lezione di educazione civica nella sala del Consiglio Comunale ed ha risposto ai nostri numerosi interventi. L'ora trascorsa con lui è stata un'importante occasione per capire come si svolge una seduta del Consiglio Comunale e la funzione del Presidente del Consiglio.
Ma le immagini sono più eloquenti.......


Get your own Moonk!

domenica 10 febbraio 2008

Poesia e musica: "La canzone di Marinella" di Fabrizio de André

Dice Berenson che il metodo per giudicare la bellezza di un’ opera d’arte è l’aumento di vitalità che dà. Un opera d’arte che apprezziamo e sentiamo bella, che sia una poesia, un romanzo, un quadro o una musica, provoca in noi un aumento di vitalità. Fa scaturire dentro di noi quel senso di benessere interiore e voglia di vivere. Molte volte nei momenti negativi della nostra vita, una canzone o una lettura riescono spesso a condurci fuori dalla tristezza e a farci sentire meglio.
La canzone di Marinella del cantautore Fabrizio de André (Genova 1940 – Milano 1999) è sicuramente una di quelle opere d’arte che suscita in noi un aumento di vitalità. Di solito siamo abituati a considerare poesia soltanto una composizione scritta in versi, ma sappiamo che le composizioni in versi nell’antica Grecia erano sempre accompagnate dalla musica. Musica e poesia erano al tempo dei Greci inscindibili. Al giorno nostro Fabrizio de André è un esempio di poeta – musicista; ha scritto canzoni in cui il testo non è inferiore a tante poesie che troviamo nell’antologia, e per di più sono accompagnate da una musica che riesce ad esprimere con efficacia non comune quello che le parole ci dicono.
La canzone di Marinella è una vera e propria poesia accompagnata della musica. E’ la storia di una ragazza che un giorno incontra l’amore e vive questa esperienza con intensità e passione:

“…e c'era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose la mano sui tuoi fianchi

furono baci furono sorrisi
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle…..”

Purtroppo al ritorno verso casa Marinella cade, non si sa come, nel fiume e annega. Il suo amato, disperato non si dà pace e mai accetterà la morte della ragazza:

“…..e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta…”

Questa è la storia di Marinella raccontata nella canzone. Questa storia però non origina esclusivamente dalla fantasia del cantautore, ma è tratta da una storia vera. Dice Fabrizio de André che all’età di quindici anni apprese dal giornale la tragica storia di una ragazza, una ragazza di campagna delle parti di Asti. A sedici anni perse i genitori, fu cacciata dagli zii e si prostituì lungo le sponde del Tanaro. Un giorno trovò un delinquente che le portò via la borsetta dal braccio e la buttò nel fiume, dove annegò. De André rimase così colpito da questa vicenda e commosso, che pensò di reinventare la storia di questa ragazza. Attraverso la poesia egli trasfigurò la vita piena di dolori di questa ragazza in una vita diversa, di una ragazza che era “….senza il ricordo di un dolore” finché un giorno incontrò il vero amore. Purtroppo questa esperienza di felicità fu prematuramente troncata dall’incidente che le capitò. Ma la morte descritta nella canzone è sicuramente addolcita rispetto a quella che accadde realmente. Il cantautore attraverso la poesia riscatta la ragazza da una vicenda tragica e ingiusta, e le offre quello che una vita disgraziata non le aveva mai dato: l’amore e la felicità seppur per un solo giorno “…..e come tutte le più belle cose vivesti solo un giorno come le rose.”
L’amore, la morte e il tempo: sono questi i temi immortali della poesia. Temi che ritroviamo espressi magnificamente nella canzone di de André.

domenica 27 gennaio 2008

Il Decameron



Il Decameron è l'opera principale di Giovanni Boccaccio, scrittore fiorentino che nacque nel 1313 e morì nel 1375. Boccaccio fu testimone durante la sua giovinezza della pestilenza che afflisse Firenze provocando un numero spaventoso di morti. Questo episodio tragico della sua vita verrà poi riportato nel Decameron con dovizia di particolari ed è il motore della vicenda. I dieci giovani protagonisti della storia, infatti, per fuggire la peste, si rifugiano in campagna dove uno di loro ha un palazzo. Qui i giovani per passare il tempo raccontano ogni giorno dieci novelle, una a testa. La durata del soggiorno è di dieci giorni (Decameron = dieci giorni:"deca" in greco vuol dire dieci; "emeron" invece vuol dire giorno), per cui le novelle saranno in totale cento.

Qui sotto è riportata l'introduzione del Decameron che ho parafrasato liberamente in italiano corrente, partendo dalla versione originale in volgare.
Alessandro Altieri



DECAMERON: PARAFRASI DELL'INTRODUZIONE
....Dico dunque che la vicenda è ambientata nel 1348, quando nella importante e bellissima città di Firenze, venne la peste mortifera: la quale [...] ha avuto inizio dall'oriente, [...] e si è diffusa poi per tutto l'occidente.
Nonostante i vari provvedimenti adottati dagli uomini per contrastare il morbo: come ad esempio il vietare l'ingresso nelle città degli uomini infettati e pulire la città dalle sporcizie; nonostante le preghiere e le processioni che si susseguirono per invocare l'aiuto di Dio; il morbo cominciò a manifestarsi nella primavera del 1348. Mentre il morbo in Oriente si era manifestato attraverso sanguinamenti del naso, in Occidente invece il morbo si manifestava, nello stesso modo a maschi e femmine, con dei rigonfiamenti sotto l'inguine o sotto le ascelle. Questi rigonfiamenti crescevano a volte grandi come un uovo e a volte grandi come una mela, dalla gente chiamati "gavoccioli". [...] I consigli dei medici o le medicine si erano dimostrati inutili per curare questa malattia.[...] Con il passare del tempo la situazione peggiorò, non solamente infatti il parlare e il toccare gli infermi trasmetteva la malattia ai sani, ma anche il toccare i panni o qualunque altra cosa dagli infermi era stata toccata o adoperata. [...] Che altro si può dire [...] se non che la crudeltà del cielo, e forse in parte quella degli uomini, fu tanta e tale che fra marzo e luglio seguente, sia per la forza del morbo sia per il fatto che molti infermi non erano curati o erano abbandonati per la paura che i sani avevano di essi, oltre centomila uomini morirono dentro le mura di Firenze [...].
All'inizio della pestilenza, quando ormai la città di Firenze stava svuotandosi, [..] nella chiesa di Santa Maria Novella semi vuota, un martedì mattina, dopo aver sentito la messa, si trovarono sette giovani donne unite sia per amicizia, sia per parentela. Queste giovani donne erano tra i diciotto e i venti anni, tutte istruite, di nobili famiglie e belle di aspetto. Queste donne una volta incontratesi in chiesa, si misero a sedere in cerchio e iniziarono a discutere della situazione.
Iniziò a parlare Pampinea: “Donne mie care, la ragione non ha mai danneggiato coloro i quali l' hanno usata onestamente. E' sensato che ciascuno che nasca, faccia di tutto per aiutare e proteggere la propria vita [...]. Se torniamo alle nostre case non so se a voi capiterà quello che capita a me: io, di tutta la mia famiglia, trovo nella casa solo la mia domestica. Impaurisco e quasi tutti i capelli che ho li sento arricciare, perché mi pare di vedere le ombre di coloro che sono morti, ma non con quei visi che io ero solita vedere, bensì con delle facce orribili.
Per questo motivo stare in città e stare a casa mi fanno star male. E se la situazione è così drammatica che facciamo noi qui? Che cosa aspettiamo? Che speriamo? Perché siamo meno attente alla nostra salute ri-spetto agli altri cittadini che se ne sono andati? Ci reputiamo meno importanti delle altre? Oppure credia-mo che la nostra vita sia legata con catene più forti al nostro corpo rispetto agli altri? Noi volendo potrem-mo scappare. Noi, così come altri prima di noi, dovremmo uscire da questa terra e fuggir così la morte an-dando a vivere nelle nostre ville di campagna. In questi luoghi potremmo dedicarci alle feste, all'allegria e a vari divertimenti senza però oltrepassare il limite del buon senso."
Le altre donne, dopo aver ascoltato Pampinea, non soltanto lodarono il suo consiglio, ma iniziarono a discutere sul modo in cui realizzare la cosa. Ma Filomena, una ragazza del gruppo disse: " Donne, seppur le cose dette da Pampinea siano giuste, vi voglio ricordare che siamo tutte femmine e difficilmente sappiamo muoverci senza un uomo. Noi siamo infatti sospettose, litigiose e paurose, e c'è il rischio che senza la guida di un uomo la nostra compagnia si dissolva.”
Disse allora Elena: "Senza gli uomini raramente riescono i nostri progetti, ma come possiamo aver degli uomini, quando i nostri sono quasi tutti morti a causa della pestilenza?"
Mentre tra le donne si parlava così, ecco che entrarono nella chiesa tre giovani, di cui il più giovane aveva poco meno di venticinque anni. [...] Questi si chiamavano Panfilo, Filostrato e Dioneo, assai piacevoli nell'aspetto e educati.[...] Pampinea, che era parente di uno dei giovani, levatasi in piedi andò loro incontro e gli parlò. Pregò loro con animo fraterno di prender parte al progetto. [...] I giovani acconsentirono e senza alcun indugio si unirono al gruppo delle ragazze e tutti insieme si prepararono per la partenza.
Giunsero dopo appena due miglia al luogo precedentemente stabilito. Questo luogo era sopra una piccola montagnetta […] ricco di vari alberelli e piante piene di verdi fronde, piacevoli da guardare. Sulla cima di questa montagnetta c’era un palazzo con un bello e gran cortile al centro, e con logge e con sale e con ca-mere, tutte bellissime e ornate di liete pitture. Attorno al palazzo c’erano prati e giardini meravigliosi con pozzi d’acqua freschissima […]. La comitiva di giovani che stava arrivando trovava così al suo arrivo ogni co-sa potesse arrecare piacere.
Dopo essere arrivati e postisi a sedere, Dioneo, giovane pieno di spirito, disse: “ Donne, la vostra prudenza ci ha qui guidati. […]Io i brutti pensieri li ho lasciati dentro le mura della città, quindi o vi divertite ridendo e scherzando con me, oppure preferisco tornare nella città con tutte le sue tribolazioni.”
Rispose allora in modo lieto Pampinea: “Dioneo dici cose giuste: bisogna vivere festosamente e lasciare da parte le cose tristi che ci hanno fatto fuggire. Ma poiché le cose che non sono accompagnate da metodo non possono durare a lungo, io che fui l’iniziatrice dei discorsi dai quali originò questo gruppo, penso che sia necessario che tra di noi ci sia giorno per giorno un capo, verso il quale noi ci mostreremo ubbidienti. Questo capo avrà il compito di pensare al nostro divertimento. [… ] Per non creare invidie e per far provare a tutti il compito di guidare il gruppo, a ciascuno di noi verrà attribuito questo ruolo per un giorno solo”. […] Queste parole piacquero molto alla comitiva che elesse Pampinea come regina del primo giorno; e Filomena, corsa velocemente ad un alloro, […] fece di alcuni rami una corona che fu messa sopra la testa della regina. […]
Non era da molto sonata l’ora non, che la regina, alzatasi, tutti gli altri fece alzare […] e se ne andarono in un praticello, nel quale l’erba era verde e alta […], e si posero a sedere in cerchio, sentendo un soave venticello che soffiava. Allora la regina (Pampinea) disse loro : “ Come voi vedete il sole è alto e il caldo è grande, né altro s’ode che le cicale su per gli olivi[…]. Qui è bello e si sta al fresco […] e penso che la cosa più giusta sia quella di passare il tempo raccontandoci delle novelle e così trascorreremo questa calda parte del giorno. […] Le donne e gli uomini insieme, tutti lodarono questa proposta di Pampinea.
“Dunque” – disse la regina – “se questa è la vostra volontà, per questa prima giornata voglio che ognuno di voi sia libero di raccontare una novella sull’argomento che gli è più gradito.” E quindi rivolta verso Panfilo, che sedeva alla sua destra, gli disse in maniera cortese che avrebbe dovuto iniziare lui a raccontare. Allora Panfilo, sentita la richiesta ed essendo ascoltato da tutti, cominciò così.

lunedì 14 gennaio 2008

Impressioni sul nostro quartiere: Quarto Oggiaro

“ Abito a Quarto Oggiaro, un quartiere della periferia nord di Milano. Io frequento la Scuola Media Graf, che è una delle due scuole medie di Quarto Oggiaro. Ci sono tante cose vecchie e nuove, alte e basse. L’autobus più usato è la 57 che fa capolinea alla stazione di Cadorna.
Del mio quartiere mi piace il modo in cui è strutturato, perché è fatto in modo tale che è difficile perdersi ed è facile orientarsi. Invece le cose che non mi piacciono, sono i marciapiedi e le strade; non sono infatti in buone condizioni.”
Davide


“ Quando mi chiedono dove abito o dove vado a scuola e pronuncio la zona di Quarto Oggiaro, mi guardano come se abitassi nel quartiere Bronx di New York. La zona di Quarto Oggiaro viene considerata come malfamata, piena di delinquenza, spaccio di droga e quant’altro. […] Pur frequentando il quartiere solo da due anni posso notare la sensibilità e la solidarietà che c’è tra gli abitanti. Sono due anni che frequento la scuola qui a Quarto e posso dire che tutti i ragazzi considerano quest’ultima un punto di riferimento.”
Shamal


“Quarto Oggiaro è un quartiere popolare e come quasi tutti gli altri ha un po’ di delinquenza, ma io ci sono abituata. Non è un brutto posto dove vivere, ma ci si deve abituare. Ci sono vari luoghi che frequento, solo che alcuni meno e altri di più. Ad esempio un luogo che frequento è il parco dietro casa mia. E’ bello perché ha tanto verde e c’è un campo da basket, anche se viene usato per giocare a calcio. Poi c’è una pista per chi ama andare con i roller. Da bambina andavo al parco delle matite; si chiama così per le colonne a forma di matita.”
Stefania


"Il bello di Quarto è che si trovano amici facilmente. Un altro motivo per cui mi piace Quarto è che ci sono belle ragazze. Le cose che invece non mi piacciono, sono alcuni comportamenti dei ragazzi più grandi; questi infatti fanno i buffoni con quelli più piccoli. A Quarto poi i marciapiedi sono alti e le strade ondeggianti […] Il posto che frequento di più è l’Euro Milano dove c’è un campo in cui si gioca a calcio."
Mirko


“Quarto Oggiaro è un quartiere molto grande e popolato. Abbiamo molti posti in cui andare, ad esempio il centro commerciale dove ci sono tanti negozi e soprattutto il Mac Donald’s, dove certi sabati andiamo a mangiare. Quando ci sono belle giornate spesso e volentieri andiamo al parchetto per giocare a calcio tra di noi del quartiere, oppure contro ragazzi di un altro quartiere. La mia scuola è abbastanza grande e pure molto vicina a casa mia.”
Francesco


“Sono quattro anni che abito a Quarto Oggiaro. Per colpa di questo posto si cresce troppo velocemente. Io non vorrei mai che i miei figli crescessero qui, ma nonostante questo amo molto questo quartiere, perché è il posto dove ho conosciuto persone fantastiche. Andarmene da qui sarebbe brutto perché lascerei tutti i miei ricordi più belli. […] Prima di venire ad abitare a Quarto Oggiaro, non sapevo nemmeno che esistesse la droga, non ne avevo mai sentito parlare.” Angela


"Quarto Oggiaro nasce negli anni cinquanta con il nome di Quarto Ulterio per venire incontro alla sempre più crescente richiesta di alloggi popolari. […] In questi anni dall’asilo alle medie , dal punto di vista dell’insegnamento, mi sono sempre trovato bene. Purtroppo però le nostre scuole sono spesso oggetto di critiche negative solo per il fatto che si trovano a Quarto Oggiaro da trentanove anni. Quello che mi piace di più del mio quartiere sono le piscine ed il campo di calcio dell’Aldignona, in cui ho giocato per due anni, e il parco vivibile di via Lessona. […] Non mi piacciono le condizioni in cui si trovano i marciapiedi, invasi da escrementi di cane che mi costringono a fare lo slalom per arrivare a scuola"
Alessandro


“….non so come spiegarlo, ma è una cosa divertentissima girare per Quarto, incontrare amici mentre ci si muove per il quartiere. Nel parco io mi diverto tantissimo, ma la cosa che mi piace di più sono i compagni, perché ti aiutano nei momenti tristi; non sai cosa ti aspetta il giorno dopo, potrebbe infatti capitare qualunque cosa.
La cose che non mi piacciono di Quarto sono le strade, ci sono infatti macchine che vanno velocissime e qui incombe la paura di essere investiti. Ci sono poi ragazzi che vanno sui motorini senza casco, senza il quale si potrebbero fare molto male.”
Albert

domenica 13 gennaio 2008

XXVI Canto - Ulisse e il folle volo

Siamo arrivati al XXVI Canto della Divina Commedia, il Canto in cui i due sommi poeti, Dante e Virgilio, incontrano Ulisse. Ci troviamo nel girone dei fraudolenti, di coloro cioè che nella vita si sono macchiati del peccato di aver ingannato il prossimo con le parole. I peccatori che sono nel girone dei fraudolenti, sono condannati ad essere nascosti per l’eternità in una lingua di fuoco. Secondo la legge del contrappasso, come nella vita hanno nascosto le loro reali intenzioni, ora sono nascosti in una lingua di fuoco. Il fuoco sta a significare qualcosa che consuma, che è distruttivo, così come lo sono stati i loro discorsi con i quali hanno ingannato il prossimo.
Ulisse è stato in vita molto abile con le parole e molto astuto; infatti è stata sua l’idea del cavallo di Troia. Ma il peccato più grave di Ulisse, che lo ha condotto all’inferno, è stato quello di aver convinto i suoi compagni ad attraversare le colonne d’Ercole e di essersi inoltrato nell’ oceano sconosciuto, proibito agli uomini da Dio.
Dante immagina che Ulisse, una volta ristabilitosi ad Itaca, non riesca ad avere una vita senza imprese ed avventure. La curiosità e il suo bisogno di esperienze nuove sono ancora vive dentro di lui. E’ per questo che con un gruppo di compagni, nonostante l' età avanzata, s’imbarca in questa nuova impresa. Una volta giunti alle colonne d’Ercole (lo stretto di Gibilterra) Ulisse fa un breve ma efficace discorso ( "orazion picciola" ) per convincere i compagni a proseguire nell’impresa. Dice loro: “Fatti non foste a viver come bruti, ma a seguir virtute e canoscenza.” I compagni grazie a queste parole si fanno coraggio e, insieme ad Ulisse, proseguono oltre. Arrivati dopo cinque mesi di navigazione in prossimità di una grande montagna (il Purgatorio), vengono però travolti da un turbine che fa affondare la nave. L’equipaggio è quindi punito con la morte, per aver osato trasgredire un divieto divino.
Dire che l’uomo deve nella vita mirare alla conoscenza e ad un comportamento che segua dei principi è giusto; quello che è sbagliato - e lì sta il peccato di Ulisse - è utilizzare queste parole per trascinare gli altri in un’ impresa sbagliata, perché viola il divieto di Dio.
Alessandro Altieri
l'immagine qui sotto rappresenta le colonne d'Ercole


domenica 6 gennaio 2008

Il V Canto della Divina Commedia























Il V Canto della Divina Commedia è il canto più conosciuto e celebrato di tutta l’opera; infatti in esso si parla d’amore e in particolare dell’amore tragico di Paolo e Francesca. I due protagonisti del canto non sono personaggi inventati, ma sono realmente esistiti. Francesca infatti abitava nel castello di Gradara (vicino Rimini) il cui proprietario, Gianciotto Malatesta, era di lei marito. Un giorno Francesca si ritrova assieme a Paolo, fratello di Gianciotto e quindi cognato di Francesca, nella biblioteca del castello a leggere insieme la storia d’amore di Lancillotto e Ginevra. Tra i due la passione si accende, e la storia che stanno leggendo dà slancio al loro sentimento amoroso, tanto che arrivati al punto del bacio tra Lancillotto e Ginevra, si baciano a loro volta, come rapiti dalla lettura e dal loro amore. Proprio in questo momento così intenso, entra nella stanza il marito di Francesca e fratello di Paolo, Gianciotto. Quest’ultimo accecato dall’ira sfodera la spada e uccide i due amanti.
Questo fatto di cronaca giunse a suo tempo fino a Dante, che ne rimase profondamente colpito, tanto da inserire i due amanti come protagonisti del più bel canto della Divina Commedia.
Ma perché questo canto affascina tanto e tuttora è quello più amato? La risposta a questa domanda si trova nella vicenda. Quest’ultima s’impernia (= s’incentra) infatti sul sentimento più importante della vita di ognuno di noi: l’amore. L’amore è infatti quel sentimento che ci fa sentire la persona amata indispensabile alla nostra vita. Quando si è innamorati infatti, tutta la nostra vita ruota attorno alla persona amata; le abitudini di questa persona, i suoi gesti, il suo modo di essere e i suoi stessi difetti, diventano per noi oggetto di adorazione, quasi la persona amata sia la perfezione in terra. In poche parole la persona amata è indispensabile alla nostra realizzazione, cioè ci fa raggiungere quel senso di pienezza interiore che sentiamo quando siamo felici.
Diversamente invece quando l’amore non è ricambiato e la persona amata ignora i nostri sentimenti, si provano i dolori più forti, tanto che non è raro sentire di tragedie legate proprio ad un rifiuto o ad una delusione d’amore, come suicidi e omicidi. L’amore è infatti un sentimento che da una parte può regalarci le più grandi gioie, ma dall’altro può portarci alla più totale disperazione. Essere rifiutati o lasciati dalla persona che si ama è infatti come essere privati di tutto ciò che nella nostra vita ha avuto importanza. E’ frequente sentir dire da persone deluse dalla persona amata che la loro vita non ha più senso e che tutte le cose gli appaiono grigie e prive di attrattive.
E nel V Canto di Dante ci sono tutti questi elementi. Da un lato la passione, l’amore che lega due persone indissolubilmente (= inseparabilmente) fino alla morte e addirittura dopo la morte; dall’altro la tragedia, la morte che incombe sui due amanti e spezza le loro vite. L’amore però non conosce fine e i due amanti sono abbracciati mentre la bufera infernale li travolge. Come sono stati uniti nella vita, così sono uniti nell’oltretomba.
Dante partecipa in maniera commossa alla sorte dei due amanti tanto che alla fine del discorso di Francesca cadrà a terra, svenuto per la troppa emozione. Dante che nella giovinezza aveva aderito al movimento poetico del Dolce Stil Novo (movimento che esaltava l’amore e la donna amata), sembra quasi non voglia accettare il tragico destino toccato ai due protagonisti del Canto. E’ come se si chiedesse: “Come può un sentimento tanto nobile come l’amore, come può la passione che lega due persone che si vogliono bene, portare alla dannazione eterna dell’Inferno?.” Dante sembra quasi non voler accettare le leggi e la volontà divina. I due amanti si sono resi infatti colpevoli del peccato di adulterio, hanno infatti tradito il vincolo matrimoniale che univa Francesca e Gianciotto Malatesta. E’ come se Dante fosse interiormente combattuto. Da un lato si vede costretto a inserire i due amanti nel secondo cerchio dell’inferno, perché lui, uomo credente del Medioevo, non può non tener conto delle severe leggi divine; dall’altro prova pietà e una sentita partecipazione per la vicenda dei due innamorati. E’ così preso dalla vicenda che scrive in questo canto i versi più belli che mai sono stati scritti sulla amore: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona” , ossia “l’amore che non permette (perdona) a nessuno che è amato di non ricambiare a sua volta”. Il senso di questa frase è: l’amore è un sentimento così forte che chi ne è destinatario non può non ricambiare.
Alessandro Altieri
p.s. il video che vi ho inserito è una versione cinematografica dell' Inferno di Dante girata nel 1911. Guardatelo con attenzione, vi sarà utile per farvi un' idea dell'Inferno dantesco ;).



Introduzione alla Divina Commedia



La Divina Commedia è l’opera più importante di Dante e dell’intera letteratura italiana. Nelle tre parti dell’opera: Inferno, Purgatorio e Paradiso, viene raccontata la discesa negli inferi di Dante, la salita sulla montagna del Purgatorio, e, per ultimo, l’arrivo nel Paradiso. Non è la prima volta che in un opera letteraria viene narrata la discesa nell’oltretomba. Già Omero nell’Odissea aveva descritto l’incontro tra Odisseo e le anime dei morti, tra cui quella dei suoi genitori e di Achille; lo stesso Enea, nell’Eneide, era disceso nel regno dell’oltretomba dove aveva ritrovato suo padre.
Tutto inizia durante la notte del venerdì santo. Dante si smarrisce in una selva oscura ed intricata e non riesce a ritrovare la via. Ha paura, nel bosco non c’è luce e non ci sono sentieri; si scoraggia e pensa che tutto sia perduto. Ad un tratto però, mentre vaga per il bosco, si trova ai piedi di una collina, che è illuminata dal sole che sta nascendo. Dante allora sale per la collina, ma ecco che ad un certo punto tre fiere (belve) gli impediscono di proseguire. Le tre fiere sono la lonza (ghepardo), il leone e una lupa. Appare allora provvidenzialmente Virgilio, che per volontà di Beatrice (la donna amata da Dante ormai in paradiso), è uscito dal Limbo ed è venuto in soccorso di Dante. Vedersi davanti questa figura incorporea, provoca in lui un misto di sbigottimento e di gioia; Virgilio è infatti morto ben 13 secoli prima che Dante vivesse. Il sommo poeta latino è per Dante un vero e proprio maestro; Dante ha infatti letto durante la sua giovinezza l' Eneide e prova per il maestro grande ammirazione. Virgilio invita Dante a seguirlo per quello che sarà il viaggio più stupefacente che un essere umano in carne ed ossa possa fare, non prima di aver vinto le resistenze e le paure del poeta fiorentino.
Questa è la vicenda. La Divina Commedia non si esaurisce però nella vicenda, ma va capita facendo una lettura allegorica del testo, che sappia cioè cogliere il significato profondo dell’opera. L’allegoria è una figura retorica con cui si esprime un concetto attraverso un’immagine. Ad esempio in Dante la selva oscura rappresenta il peccato. Il concetto di peccato è quindi rappresentato da una selva oscura ed intricata, in cui l’uomo finisce quando smarrisce la retta via, ossia i comandamenti e l’insegnamenti di Dio. Le tre fiere: la lonza, la lupa e il leone, rappresentano rispettivamente i peccati della lussuria (quando l’uomo perde il controllo delle proprie passioni), l’avidità (quando l’uomo è troppo attaccato ai beni materiali) e la superbia (quando l’uomo presuntuosamente si attribuisce qualità che nella realtà non gli appartengono). Le tre fiere sono si i tre animali che impediscono a Dante la salita, ma rappresentano anche allegoricamente i tre peccati menzionati. Virgilio stesso è sia il grande poeta che aiuta Dante, ma rappresenta allegoricamente la ragione. La ragione è quella facoltà che ci permette di riflettere sulle nostre azioni e di prendere la giusta decisione. Di solito si la ragione viene contrapposta all’impulsività. Si dice di una persona che è ragionevole, quando questa prende delle decisioni dopo averci pensato bene. Mentre la persona impulsiva è quella che agisce senza pensarci. Un esempio di impulsività è quando commettiamo delle azioni che si dimostrano poi dannose a noi stessi, come quando tralasciamo i nostri doveri per dedicarci completamente agli svaghi. Quindi Virgilio che salva Dante, significa allegoricamente l’uomo (Dante) che può risollevarsi dal peccato attraverso la ragione(Virgilio).
Tutta la Divina Commedia può essere letta sia come il viaggio che Dante compie nell’oltretomba, sia allegoricamente, come l’uomo che si salva dal peccato attraverso la salita dall’inferno al paradiso, ossia la salita verso Dio. L’uomo che sceglie Dio si salva dal peccato.

Alessandro Altieri



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Alessandro Altieri