Questo blog è nato dall'esigenza di un nuovo modo di fare didattica. Una didattica che si avvalga dei nuovi strumenti che la tecnologia ci offre. E il web è quello straordinario contenitore che ci permette di reperire testi, video, musica, e quant' altro possa essere di incremento al nostro patrimonio culturale. Attraverso questo blog la nostra classe si apre al mondo; la lezione non rimane confinata nel chiuso di un'aula, ma trova, attraverso internet, una "vetrina" attraverso cui poter mostrare tutto quello che da essa nasce e si sviluppa.
La musica di sottofondo è la sonata "facile" di Mozart. La scelta non è casuale, la musica di Mozart esprime infatti quella vitalità e quella leggerezza che spero accompagnino sempre i miei alunni.

venerdì 6 giugno 2008

L'incontro con Vittorio Agnoletto


E' stato davvero interessante l'incontro con Vittorio Agnoletto. E' infatti venuto giorni fa a tenerci una "lezione" sulla globalizzazione. E' stata una lezione diversa dalle solite. Ci ha infatti raccontato dei diversi volti della globalizzazione nel mondo e di come il mondo stia diventando sempre più piccolo. E' stato un incontro molto interessante, Vittorio Agnoletto ha risposto a tante nostre curiosità e ci ha chiarito tante cose che accadono nel mondo e che troviamo difficile capire.

lunedì 17 marzo 2008


L'EPICA CAVALLERESCA






L'epica cavalleresca è un genere letterario in cui vengono narrate le imprese eroiche di cavalieri.
Questo genere nasce in Francia tra il X e l' XI sec. d.C. e si sviluppa in due filoni: il ciclo carolingio e il ciclo bretone. Nel ciclo carolingio si racconta soprattutto delle vicende legate alla figura di Carlo Magno e dei suoi paladini, primo fra tutti Orlando. Nel ciclo bretone è invece centrale la figura di Artù e delle vicende legate ad esso. Ma le differenze tra due cicli non sono soltanto a livello di personaggi, ma riguardano anche i temi trattati. Infatti se nel ciclo carolingio sono più presenti i valori cavallereschi, come ad esempio l'onore militare, il coraggio e la lealtà verso il proprio re; in quello bretone invece troviamo maggiormente i temi dell'amore ( ad es. la storia di Lancillotto e Ginevra) e la magia ( mago Merlino) che rendono le vicende più simili ad una fiaba.

Orlando è il protagonista della Chanson de Roland che racconta dell'agguato subito dalla retroguardia dell'esercito di Carlo magno a Roncisvalle, nei Pirenei, ad opera dei Saraceni. In quell'agguato morirono Orlando e tutti i paladini. E' interessante notare che Orlando non è un personaggio totalmente inventato, ma è realmente esistito. Ci fu effettivamente un agguato subito dalle truppe di Carlo Magno in cui persero la vita degli eroi e tra questi Olando, che era in quel tempo prefetto della Marca di Bretagna.


Accanto a Orlando un altro grande eroe della cavalleria è Artù. Anch'esso, come Orlando, è un personaggio in parte reale, vissuto sembra nel 500 d.C., in parte frutto di invenzione. La leggenda narra che Artù, cresciuto da Mago Merlino, raggiunse la posizione di re quando riuscì ad estrarre la mitica spada Excalibur dalla roccia, che poteva essere estratta soltanto dal futuro sovrano. Successivamente Artù si sposò con Ginevra e istituì la celebre Tavola Rotonda. Uno dei cavalieri appartenenti a questa tavola, Lancillotto, si innamorò poi della regina Ginevra e questo amore clandestino portò scompiglio a Camelot.

domenica 16 marzo 2008

Poesia e immagine: "Ritratto della mia bambina" di U. Saba

(disegno di Alessandro della classe III C. La scelta è ricaduta su questo disegno perchè l'idea di mettere la bambina su di una nuvola, ben interpreta il senso di leggerezza che il poeta vuole esprimere attraverso i suoi versi.)

La mia bambina con la palla in mano,
con gli occhi grandi colore del cielo
e dell’estiva vesticciola: "Babbo
-mi disse – voglio uscire oggi con te"
Ed io pensavo : Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti.
U. Saba



Considerazioni su "Ritratto della mia bambina"
(Lavoro svolto dalla III C della Scuola Elementare di via Graf a cura della ins. Stefania Giacalone)
Dopo aver letto alcune volte la poesia, chiariti i termini che parevano di difficile comprensione, ho posto le seguenti domande:



Come immaginiamo la vesticciola della bambina?
Fatta di velo (Alessandro)
Sbracciata, smanicata (Marika, Marco)
Una vesticciola con le bretelle (Aurora)
Di colori caldi…-poi si accorge-..no,è azzurra (Alessandro)
Cosa hanno in comune la bambina e gli elementi naturali a cui viene paragonata?
Tutti non si possono toccare, sono impalpabili (Andrea R.)
Sono cose alte, che vanno in alto, leggere (Andrea C.)
Si muovono, vengono portati

In che senso la sua bambina è leggera? E' magra?

No, è sensibile, carina, delicata (Ettore)
E' leggera come una bambina, allegra (Alessia, Gaia, Aurora, Ida)
Porta colori chiari, che danno un senso di leggerezza (Francesca)
Il poeta usa tanto il cielo, perché sono tutte cose che vanno in cielo (Marco)

Guardiamo insieme dove il poeta inserisce la parola cielo…(notano la posizione in punta sia del v.2,che del v.12)

Vi è piaciuta questa poesia?

Mi è piaciuta, perché ha delle similitudini delicate (Gaia)
E' armoniosa, leggera (Alessandro)
Mi piace, perché paragona la figlia alla natura. E'una poesia tranquilla(Marco)
E' come una musica, scorre, senza interruzioni (Andrea)
(qui ho parlato della musicalità dell'endecasillabo. Abbiamo provato a contare le sillabe e a vedere quali si accentano)
Mi piace il modo in cui descrive sua figlia (Marika)
Ha trovato sinonimi dolci, come "insensibili nubi" (Alessia)
Mi è piaciuta (Ossama)
E' una poesia leggera, non come quella del mare, che abbiamo letto l'altra volta (Francesca, Antimo)

martedì 26 febbraio 2008

La nostra visita a Palazzo Marino


E' stato davvero un giorno indimenticabile. Abbiamo visitato Palazzo Marino, sede dell'amministrazione comunale di Milano. Il momento più emozionante è stato l'incontro con il Presidente del Consiglio Comunale Manfredi Palmeri. Ci ha tenuto una vera e propria lezione di educazione civica nella sala del Consiglio Comunale ed ha risposto ai nostri numerosi interventi. L'ora trascorsa con lui è stata un'importante occasione per capire come si svolge una seduta del Consiglio Comunale e la funzione del Presidente del Consiglio.
Ma le immagini sono più eloquenti.......


Get your own Moonk!

domenica 10 febbraio 2008

Poesia e musica: "La canzone di Marinella" di Fabrizio de André

Dice Berenson che il metodo per giudicare la bellezza di un’ opera d’arte è l’aumento di vitalità che dà. Un opera d’arte che apprezziamo e sentiamo bella, che sia una poesia, un romanzo, un quadro o una musica, provoca in noi un aumento di vitalità. Fa scaturire dentro di noi quel senso di benessere interiore e voglia di vivere. Molte volte nei momenti negativi della nostra vita, una canzone o una lettura riescono spesso a condurci fuori dalla tristezza e a farci sentire meglio.
La canzone di Marinella del cantautore Fabrizio de André (Genova 1940 – Milano 1999) è sicuramente una di quelle opere d’arte che suscita in noi un aumento di vitalità. Di solito siamo abituati a considerare poesia soltanto una composizione scritta in versi, ma sappiamo che le composizioni in versi nell’antica Grecia erano sempre accompagnate dalla musica. Musica e poesia erano al tempo dei Greci inscindibili. Al giorno nostro Fabrizio de André è un esempio di poeta – musicista; ha scritto canzoni in cui il testo non è inferiore a tante poesie che troviamo nell’antologia, e per di più sono accompagnate da una musica che riesce ad esprimere con efficacia non comune quello che le parole ci dicono.
La canzone di Marinella è una vera e propria poesia accompagnata della musica. E’ la storia di una ragazza che un giorno incontra l’amore e vive questa esperienza con intensità e passione:

“…e c'era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose la mano sui tuoi fianchi

furono baci furono sorrisi
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle…..”

Purtroppo al ritorno verso casa Marinella cade, non si sa come, nel fiume e annega. Il suo amato, disperato non si dà pace e mai accetterà la morte della ragazza:

“…..e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta…”

Questa è la storia di Marinella raccontata nella canzone. Questa storia però non origina esclusivamente dalla fantasia del cantautore, ma è tratta da una storia vera. Dice Fabrizio de André che all’età di quindici anni apprese dal giornale la tragica storia di una ragazza, una ragazza di campagna delle parti di Asti. A sedici anni perse i genitori, fu cacciata dagli zii e si prostituì lungo le sponde del Tanaro. Un giorno trovò un delinquente che le portò via la borsetta dal braccio e la buttò nel fiume, dove annegò. De André rimase così colpito da questa vicenda e commosso, che pensò di reinventare la storia di questa ragazza. Attraverso la poesia egli trasfigurò la vita piena di dolori di questa ragazza in una vita diversa, di una ragazza che era “….senza il ricordo di un dolore” finché un giorno incontrò il vero amore. Purtroppo questa esperienza di felicità fu prematuramente troncata dall’incidente che le capitò. Ma la morte descritta nella canzone è sicuramente addolcita rispetto a quella che accadde realmente. Il cantautore attraverso la poesia riscatta la ragazza da una vicenda tragica e ingiusta, e le offre quello che una vita disgraziata non le aveva mai dato: l’amore e la felicità seppur per un solo giorno “…..e come tutte le più belle cose vivesti solo un giorno come le rose.”
L’amore, la morte e il tempo: sono questi i temi immortali della poesia. Temi che ritroviamo espressi magnificamente nella canzone di de André.

domenica 27 gennaio 2008

Il Decameron



Il Decameron è l'opera principale di Giovanni Boccaccio, scrittore fiorentino che nacque nel 1313 e morì nel 1375. Boccaccio fu testimone durante la sua giovinezza della pestilenza che afflisse Firenze provocando un numero spaventoso di morti. Questo episodio tragico della sua vita verrà poi riportato nel Decameron con dovizia di particolari ed è il motore della vicenda. I dieci giovani protagonisti della storia, infatti, per fuggire la peste, si rifugiano in campagna dove uno di loro ha un palazzo. Qui i giovani per passare il tempo raccontano ogni giorno dieci novelle, una a testa. La durata del soggiorno è di dieci giorni (Decameron = dieci giorni:"deca" in greco vuol dire dieci; "emeron" invece vuol dire giorno), per cui le novelle saranno in totale cento.

Qui sotto è riportata l'introduzione del Decameron che ho parafrasato liberamente in italiano corrente, partendo dalla versione originale in volgare.
Alessandro Altieri



DECAMERON: PARAFRASI DELL'INTRODUZIONE
....Dico dunque che la vicenda è ambientata nel 1348, quando nella importante e bellissima città di Firenze, venne la peste mortifera: la quale [...] ha avuto inizio dall'oriente, [...] e si è diffusa poi per tutto l'occidente.
Nonostante i vari provvedimenti adottati dagli uomini per contrastare il morbo: come ad esempio il vietare l'ingresso nelle città degli uomini infettati e pulire la città dalle sporcizie; nonostante le preghiere e le processioni che si susseguirono per invocare l'aiuto di Dio; il morbo cominciò a manifestarsi nella primavera del 1348. Mentre il morbo in Oriente si era manifestato attraverso sanguinamenti del naso, in Occidente invece il morbo si manifestava, nello stesso modo a maschi e femmine, con dei rigonfiamenti sotto l'inguine o sotto le ascelle. Questi rigonfiamenti crescevano a volte grandi come un uovo e a volte grandi come una mela, dalla gente chiamati "gavoccioli". [...] I consigli dei medici o le medicine si erano dimostrati inutili per curare questa malattia.[...] Con il passare del tempo la situazione peggiorò, non solamente infatti il parlare e il toccare gli infermi trasmetteva la malattia ai sani, ma anche il toccare i panni o qualunque altra cosa dagli infermi era stata toccata o adoperata. [...] Che altro si può dire [...] se non che la crudeltà del cielo, e forse in parte quella degli uomini, fu tanta e tale che fra marzo e luglio seguente, sia per la forza del morbo sia per il fatto che molti infermi non erano curati o erano abbandonati per la paura che i sani avevano di essi, oltre centomila uomini morirono dentro le mura di Firenze [...].
All'inizio della pestilenza, quando ormai la città di Firenze stava svuotandosi, [..] nella chiesa di Santa Maria Novella semi vuota, un martedì mattina, dopo aver sentito la messa, si trovarono sette giovani donne unite sia per amicizia, sia per parentela. Queste giovani donne erano tra i diciotto e i venti anni, tutte istruite, di nobili famiglie e belle di aspetto. Queste donne una volta incontratesi in chiesa, si misero a sedere in cerchio e iniziarono a discutere della situazione.
Iniziò a parlare Pampinea: “Donne mie care, la ragione non ha mai danneggiato coloro i quali l' hanno usata onestamente. E' sensato che ciascuno che nasca, faccia di tutto per aiutare e proteggere la propria vita [...]. Se torniamo alle nostre case non so se a voi capiterà quello che capita a me: io, di tutta la mia famiglia, trovo nella casa solo la mia domestica. Impaurisco e quasi tutti i capelli che ho li sento arricciare, perché mi pare di vedere le ombre di coloro che sono morti, ma non con quei visi che io ero solita vedere, bensì con delle facce orribili.
Per questo motivo stare in città e stare a casa mi fanno star male. E se la situazione è così drammatica che facciamo noi qui? Che cosa aspettiamo? Che speriamo? Perché siamo meno attente alla nostra salute ri-spetto agli altri cittadini che se ne sono andati? Ci reputiamo meno importanti delle altre? Oppure credia-mo che la nostra vita sia legata con catene più forti al nostro corpo rispetto agli altri? Noi volendo potrem-mo scappare. Noi, così come altri prima di noi, dovremmo uscire da questa terra e fuggir così la morte an-dando a vivere nelle nostre ville di campagna. In questi luoghi potremmo dedicarci alle feste, all'allegria e a vari divertimenti senza però oltrepassare il limite del buon senso."
Le altre donne, dopo aver ascoltato Pampinea, non soltanto lodarono il suo consiglio, ma iniziarono a discutere sul modo in cui realizzare la cosa. Ma Filomena, una ragazza del gruppo disse: " Donne, seppur le cose dette da Pampinea siano giuste, vi voglio ricordare che siamo tutte femmine e difficilmente sappiamo muoverci senza un uomo. Noi siamo infatti sospettose, litigiose e paurose, e c'è il rischio che senza la guida di un uomo la nostra compagnia si dissolva.”
Disse allora Elena: "Senza gli uomini raramente riescono i nostri progetti, ma come possiamo aver degli uomini, quando i nostri sono quasi tutti morti a causa della pestilenza?"
Mentre tra le donne si parlava così, ecco che entrarono nella chiesa tre giovani, di cui il più giovane aveva poco meno di venticinque anni. [...] Questi si chiamavano Panfilo, Filostrato e Dioneo, assai piacevoli nell'aspetto e educati.[...] Pampinea, che era parente di uno dei giovani, levatasi in piedi andò loro incontro e gli parlò. Pregò loro con animo fraterno di prender parte al progetto. [...] I giovani acconsentirono e senza alcun indugio si unirono al gruppo delle ragazze e tutti insieme si prepararono per la partenza.
Giunsero dopo appena due miglia al luogo precedentemente stabilito. Questo luogo era sopra una piccola montagnetta […] ricco di vari alberelli e piante piene di verdi fronde, piacevoli da guardare. Sulla cima di questa montagnetta c’era un palazzo con un bello e gran cortile al centro, e con logge e con sale e con ca-mere, tutte bellissime e ornate di liete pitture. Attorno al palazzo c’erano prati e giardini meravigliosi con pozzi d’acqua freschissima […]. La comitiva di giovani che stava arrivando trovava così al suo arrivo ogni co-sa potesse arrecare piacere.
Dopo essere arrivati e postisi a sedere, Dioneo, giovane pieno di spirito, disse: “ Donne, la vostra prudenza ci ha qui guidati. […]Io i brutti pensieri li ho lasciati dentro le mura della città, quindi o vi divertite ridendo e scherzando con me, oppure preferisco tornare nella città con tutte le sue tribolazioni.”
Rispose allora in modo lieto Pampinea: “Dioneo dici cose giuste: bisogna vivere festosamente e lasciare da parte le cose tristi che ci hanno fatto fuggire. Ma poiché le cose che non sono accompagnate da metodo non possono durare a lungo, io che fui l’iniziatrice dei discorsi dai quali originò questo gruppo, penso che sia necessario che tra di noi ci sia giorno per giorno un capo, verso il quale noi ci mostreremo ubbidienti. Questo capo avrà il compito di pensare al nostro divertimento. [… ] Per non creare invidie e per far provare a tutti il compito di guidare il gruppo, a ciascuno di noi verrà attribuito questo ruolo per un giorno solo”. […] Queste parole piacquero molto alla comitiva che elesse Pampinea come regina del primo giorno; e Filomena, corsa velocemente ad un alloro, […] fece di alcuni rami una corona che fu messa sopra la testa della regina. […]
Non era da molto sonata l’ora non, che la regina, alzatasi, tutti gli altri fece alzare […] e se ne andarono in un praticello, nel quale l’erba era verde e alta […], e si posero a sedere in cerchio, sentendo un soave venticello che soffiava. Allora la regina (Pampinea) disse loro : “ Come voi vedete il sole è alto e il caldo è grande, né altro s’ode che le cicale su per gli olivi[…]. Qui è bello e si sta al fresco […] e penso che la cosa più giusta sia quella di passare il tempo raccontandoci delle novelle e così trascorreremo questa calda parte del giorno. […] Le donne e gli uomini insieme, tutti lodarono questa proposta di Pampinea.
“Dunque” – disse la regina – “se questa è la vostra volontà, per questa prima giornata voglio che ognuno di voi sia libero di raccontare una novella sull’argomento che gli è più gradito.” E quindi rivolta verso Panfilo, che sedeva alla sua destra, gli disse in maniera cortese che avrebbe dovuto iniziare lui a raccontare. Allora Panfilo, sentita la richiesta ed essendo ascoltato da tutti, cominciò così.